sabato 21 luglio 2012

Il babbeo economista e l'isterica religione economica

Gli economisti sono dei babbei. E non qualcuno, ma tutti, tutti indiscriminatamente; lo sono i presidi delle facoltà universitarie come i singoli studentelli matricole. Solo un babbeo può spendere la sua vita (senza rinnegarla) nello studio della superficialità dei fenomeni, prendendo dalla realtà continue mazzate, continue sbadilate di merda realista sulle loro isteriche previsioni.
Mai nessuna scienza si è rivelata tanto fallimentare come l'economia: fin dagli albori questa disciplina misto arte e scienza è venuta dietro agli avvenimenti reali, tanto di giustificarli e di eternizzarli quando già erano diventati decadenti Dunque solo gli economisti potevano sostenere il mercantilismo quando giò il capitale industriale trionfava; solo gli economisti potevano inginocchiarsi al liberismo assoluto quando esso era già morto e sepolto dal capitalismo monopolistico e statalista; solo gli economisti, oggi, possono blaterare di regole e politica per tenere a bada lo stregone capitalistico sfuggito al controllo, quando il capitale si è completamente autonomizzato e distaccatto dalla classe borghese fisica che lo controllava (capitale finanziario).
Essi sono stati e sempre saranno dei falliti, dei sacerdotuncoli reazionari che nemmeno riescono a star dietro alla loro società. Oggi li vediamo dimenarsi come polli senza testa a chiedere a squarcia gola... nemmeno loro sanno cosa. Chiedono regole, chiedono sacrifici, chiedono politica per... non lo sanno, ma bisogna far qualosa, per dio!



Sono terrorizzati, con la loro miserabile scienza non sanno come uscire dalla crisi dei rapporti capitalistici di produzione. Vedono un mercato e i profitti delle aziende andare a picco, nonostante tutti i loro precetti. Ripetono come un disco rotto le solite ricette: ipersfruttamento della forza-lavoro, aumento del saggio del plusvalore relativo, quando ormai si è arrivati al limite massimo di sfruttamento, i lavoratori non hanno più niente e un'immensa massa vive nella povertà assoluta. I giochi di prestigio monetari di keynesiana memoria si rivelano per quelli che sono, merda inutile; dalla moneta non tiri fuori ricchezza, almeno che il tuo stomaco non riesca a digerire una banconota. Le politiche economiche si ripetono, instancabili di insuccessi e fallimenti totali.

Ma la realtà è implacabile, non gliene frega neinte delle liturgie degli stolti accademici. Il livello immenso delle forze produttive odierne è troppo alto per stare ingabbiato nei vecchi schemi putrefatti e arcaici di questa società (azienda, scambio di valore, mercato, anarchia produttiva, concorrenza, imprenditoria individuale, ecc.), così il capitale, per continuare a vivere come un parassita, è costretto a provare di distruggere le forze produttive, per abbassarle al suo miserabile livello. Così abbiamo continuamente non miseria perché ci sono troppe poche fabbriche o lavoro, ma perché la forze produttiva sociale è troppo potente. C'è troppa forza-lavoro, troppa tecnologia, troppi saperi, troppa industria per essere ingabbiate nelle categorie economiche capitalistiche. Questa società ha potenzialità che sono troppe e inaccettabili per l'involucro capitalistico, così il capitale, come un cancro, è costretto a ucciderle per rimandare di un po' la sua morte.

Non c'è verso, niente potrà cambiare il volgersi delle cose verso la catastrofe borghese e il superamento di questa primitiva società, in virtù di una nuova adeguata alle potenzialità produttive e materiali già ora esistenti in forma embrionale. Gli insetti borghesi potranno pagare quanto vorranno gli stercorari che abitano nelle università per raccontargli tutte le balle che vogliono sentirsi dire. Essi continumente racconteranno in tv di un sistema che, in fondo, è sano e prospero e che ce la farà. I borghesi fanno gli scongiuri e possiamo comprenderli, prima di tagliargli la testa; i proletari, invece, non debbono prestare attenzione alcuna a questi cialtroni al servizio della borghesia. Non possono avere nulla da imparare da questi escrementi dell'intelletto.

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